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Storia della conservazione
Sezioni: Cibo e cultura | Storia
Data di pubblicazione 30/10/2008


La storia della conservazione degli alimenti, come tutte le altre storie, ha inizio la notte dei tempi e probabilmente dobbiamo farla risalire alla stessa comparsa dell'uomo sulla Terra.



Conservare un alimento ha infatti questa motivazione fondamentale: permetterne l'utilizzazione differenziata nel tempo e nello spazio, vincolata da limitazioni temporali e logistiche, per cui conservare un alimento per poterlo consumare in tempi e luoghi diversi da quelli di produzione è stata un'esigenza che se non ha interessato i primi esseri umani, che vivevano allo scopo di procurarsi cibo da consumare immediatamente, sicuramente è diventata una necessità per le prime forme sociali del clan, soprattutto via via che esso da nomade si trasformava in stanziale e da quando è iniziata l'attività agricola di produzione vegetale e allevamento animale.

Ma non si vuole ora fare la storia dell'umanità; nessuno ci potrà mai indicare a quale popolo o a quale inventore si possano collegare con certezza i processi di congelamento, essiccazione, salatura e affumicamento, si può senz'altro affermare che tali procedimenti, che stanno alla base di tecniche di conservazione tuttora utilizzate, si possono far risalire alla preistoria dell'uomo. Sicuramente fu la natura stessa a indicare le prime possibilità di conservazione: la frutta che restava sugli alberi, seccava e non perdeva commestibilità, gli animali che restavano sepolti sotto la neve e il ghiaccio o i pesci che restavano inclusi nelle saline naturali sono sicuramente stati i primi esempi di conserve.
Il commercio del pesce salato, salato e affumicato si faceva già nell'antico Egitto e presso i Fenici ed era noto ai Greci e ai Romani. Come metodo di conservazione si sviluppò soprattutto fra i popoli marinari del Nord-Europa (all'olandese William Beukels si fa risalire la scoperta dell'affumicamento delle aringhe nella prima metà del XV secolo, ma si trovano tracce di tale tecnica in documenti inglesi e francesi antecedenti di almeno duecento anni). L'uso di prodotti salati ed essiccati risale al primo millennio d.C. (esistono bassorilievi romani che riportano sagome di prosciutti), il prosciutto di Parma trova tracce di progenitori nel XIII secolo e nel 1500 Bologna era rinomata per i salumi e gli insaccati, mentre la scoperta dello zucchero determina nel XV secolo la nascita dei primi canditi in Liguria. L'impiego di un effetto protettivo di sostanze chimiche naturali (resine e balsami) era noto ai Romani (Vitruvio ricorda che dal cedro si ottiene un olio capace di conservare qualsiasi sostanza; il cuoco imperiale Gabrio Apicio nel suo “De re coquinaria” afferma di sapere conservare la carne con il miele, l'aceto, il sale e la mostarda e Palladio, nel IV secolo, raccomandava di conservare le olive facendone strati compatti colmati con miele, aceto e sale).



Bisogna però entrare nella Storia recente, vicina negli anni, seppur estremamente lontana ormai per l'avanzare della tecnica e della scienza, per potere parlare degli alimenti conservati confezionati e, secondo li schemi didattici usuali, agli avvenimenti che individuano nei programmi scolastici l'inizio dell' età moderna: rivoluzione francese e impero napoleonico.

La conservazione degli alimenti, cioè il complesso di tecniche che permettono di ottenere l'inibizione delle cause di alterazione, precede l'individuazione delle cause stesse (microrganismi, enzimi e agenti chimici e fisici) e trova il suo inizio nell' empirismo geniale di Nicolas Appert, pasticciere in rue de Quincampoix a Parigi, che dopo numerosi tentativi a partire dal 1796 realizza in un piccolo atélier a Ivry-sur-Seine le prime conserve in vasi di vetro: due le intuizioni fondamentali, il riscaldamento in acqua bollente e la chiusura ermetica del vaso in fase di bollitura. Le stesse che aveva alcuni anni prima individuato l'abate Lazzaro Spallanzani in Italia, senza peraltro darne particolare diffusione, se non in alcuni scritti dei suoi “Opuscoli” e le stesse indicate dallo svedese Scheele per la conservazione dell'aceto (1782).

Ne fa oggetto di una pubblicazione fondamentale, ilLivre de tous les ménages, ou l'art de conserver pleusieurs années toutes les
substances animales et végétales
del 1804, che apre con un assunto sicuramente ottimistico: “Con questo processo, Vi sarà possibile trasferire nella vostra cantina tutto quanto il vostro orto produce in primavera, in estate e in autunno e dopo parecchi anni Voi troverete i vostri alimenti egetali ancora buoni e sani come quando li avete raccolti e con una certa preveggenza potrete premunirvi per eventuali periodi di indigenza e carestia” e si aggiudica il premio di 12.000
franchi messo in palio dal Direttorio francese per chi avesse presentato il miglior progetto per la fornitura di alimenti conservati all'esercito francese. Nello stesso anno apre la prima fabbrica di conserve a Massy, nella banlieue parigina e i fagioli e i piselli in scatola della ditta Appert sono utilizzati con successo dal presidio militare del generale Caffarelli al porto di Brest.


Appert fece una ricerca attentissima e molto laboriosa presso vetrerie, fabbricanti di tappi di sughero e di collanti per trovare i materiali idonei a sopportare il calore, le pressioni interne e a resistere all'acqua: la ricerca fu proficua, ma la sua tecnica rimase comunque laboriosa, scomoda e con evidenti gravi limitazioni ad una ampia diffusione.

Negli stessi anni (1810) proprio in Inghilterra Peter Durand presenta il brevetto per un metodo di conservazione degli alimenti mediante riscaldamento entro recipienti di latta e viene riconosciuto come l'inventore delle scatole in banda stagnata, impropriamente in quanto in precedenza Dutch aveva proposto contenitori di latta per pesce conservato sotto sale; Durand non sfrutta il brevetto
e lo cede a Bryan Donkin e a John Hall che lo perfezionano applicando la saldatura del coperchio a fine cottura. E così, mentre Appert viene osannato in Francia, la sua invenzione trova un interesse particolare al di là della Manica, in quell'Impero britannico, molto più pronto a sfruttare la novità per alimentare le proprie truppe marine in navigazione verso le colonie, di quanto lo sia lo stesso Napoleone nei
confronti delle proprie truppe di terra impegnate nella campagna di Russia. L'invenzione di Donkin, sviluppata commercialmente dalla “John Gamble” di Bermondsey, rende possibile nel 1824 la fornitura di diecimila scatolette di vitello arrosto a certo capitano Parry che stava iniziando uno sfortunato e lungo viaggio per trovare un passaggio
a mare attraverso il Polo Nord per le Indie. Una di queste scatolette sarebbe stata ritrovata 114 anni dopo ancora intatta e il contenuto giudicato in perfetto stato di conservazione.


L'invenzione europea trova rapida applicazione oltre Atlantico e già nel 1817 viene aperto il primo stabilimento in Nord-America a Boston e due anni dopo un secondo a New York che inizia la produzione di salmone, granchi e ostriche in scatola. Come si può vedere dai prodotti inscatolati, la prima attenzione venne dedicata a "prodotti d'élite" e solo nel 1853 si ebbe un primo notevole impulso allo sviluppo dell'industria conserviera quando Gail Borden, nel Texas, mise a punto un sistema di conservazione di latte condensato: la richiesta di latte condensato in scatola fu immediata e sorsero molti stabilimenti di produzione. La vera svolta produttiva derivò però dalla guerra civile nordamericana (1861): la necessità di
fornire alimenti alle truppe fu talmente elevata che l'industria ebbe una notevole crescita che non si arrestò nemmeno a guerra finita. Ma anche il montone australiano
prodotto trova una destinazione come alimento conservato in scatola e costituisce un'occasione di grande interesse alla Grande Esposizione di Londra del 1851, nello stesso anno nel quale la “John Gamble” fallisce a causa del grave danno d'immagine provocato dal ritrovamento di conserve di carne avariata. È ormai impossibile seguire cronologicamente lo sviluppo dell'industria conserviera nella seconda metà del XIX secolo, ma alcuni nomi sono sicuramente da rammentare: Botany Bay (Nuovo Galles) nel 1875, fabbriche di conserve di carne dei Frigorificos argentini e uruguayani
nel 1870, Kidwell a San Francisco e soprattutto James Dole alle Hawai per le conserve di ananas. È in quel periodo che viene forgiata la parola canister, presto
semplificata in can, con la quale si individuano le scatolette dei canned foods prodotti dalla canning industry.


In Italia i nomi di spicco ai quali fa riferimento l'industria conserviera della seconda metà dell'Ottocento sono sicuramente Francesco Cirio e
Pietro Sada. Il primo nel 1858 apre a Torino la prima fabbrica di piselli in scatola, mentre il secondo nel 1881 impianta a Crescenzago la prima fabbrica di conserve di carne. Per Cirio (modesto figlio del popolo, ardimentoso suscitatore di energie nei commerci e nelle industrie agricole nazionali, come lo ha descritto, con la prosopopea autarchica del periodo, A. Marescalchi
)
si è trattato di un lungo peregrinare al Nord e al Sud d'Italia quasi per diffondere la nuova frontiera della scatoletta e quando nel 1900 egli muore, sul territorio
nazionale le fabbriche di conserve sono ormai alcune centinaia.


Come già detto, Appert fu un inventore e non uno scienziato: ottenne il risultato senza individuarne i meccanismi che lo determinavano: Guy-Lussac
e Liebig pensarono di individuare nell'eliminazione quasi completa dell'ossigeno la causa della raggiunta stabilità (ma non si può dimenticare che Catone, due secoli
a.c., raccomanda l'impiego di oli e grassi per ricoprire il vino nelle anfore e Plinio riportava già ai suoi tempi l'ipotesi generalmente accettata che fosse l'aria
l'elemento corruttore del cibo, ricordando le pratiche di isolamento della frutta mediante colate di cera o resina). Su questa linea si giustificano le modifiche consigliate da Angilbert nel 1823 in Francia, da Kensett due anni dopo in America,
e infine da Fastier nel 1839 tese a rendere completa questa eliminazione dell'ossigeno: lasciare un piccolo foro attraverso il quale l'aria potesse uscire durante l'ebollizione, da chiudere immediatamente dopo mediante saldatura
. Questa tecnica è stata usata fino ad alcuni anni fa, per esempio, per la mortadella in scatola, ma in questo caso il foro aveva anche la funzione di fare uscire il
grasso in eccesso colato durante la cottura. Un notevole passo avanti si ebbe quando Allen Taylor propose un metodo per la preparazione di scatole stampate con orli aggraffati nel 1847; prima un buon lattoniere riusciva a produrre non più di 100 scatole al giorno.


Si intravide poi la necessità di avere temperature superiori a quella del bagno maria e Favre e Collin nel 1850 proposero l'impiego di
soluzioni saline rispettivamente di sale marino e di cloruro di calcio per innalzare la temperatura oltre i 100°C. Ma a questo punto diventava determinante avere confezioni che potessero sopportare anche l'ebollizione interna del prodotto. Il grande passo avanti si ebbe solo con l'impiego dell'autoclave e in pratica venne utilizzata una
pentola di Papin alla quale un pronipote di Appert, Chevalier, nel 1852 applicò il manometro, rendendo così possibile il controllo delle temperature di riscaldamento.


Se l'omologo scientifico di Appert fu Lazzaro Spallanzani, capace di confutare scientificamente le asserzioni di Needham e Buffon sulla
generazione spontanea
e quindi sulla ineluttabilità del fenomeno di degradazione, fu il grande Pasteur, che fra gli anni 1860-70, individuò nello sviluppo dei microrganismi
la causa principale delle alterazioni degli alimenti e nel loro trattamento di inattivazione attraverso il calore il fondamento del metodo di conservazione adottato da Appert.
Ogni fermentazione è provocata da esseri viventi, i cui germi (le <uova> di Spallanzani) sono ubiquitari e molto numerosi; se con il calore si eliminano questi germi e con
un contenitore ermetico si annulla la possibilità di ricontaminazione, l'alimento si conserverà per un tempo teoricamente infinito.


L'intuizione scientifica di Pasteur rimase tuttavia isolata nelle sue pubblicazioni scientifiche e non ebbe riscontro pratico per almeno cinquant'anni in un'industria che stava prepotentemente sviluppandosi in tutto il
mondo. Si continuarono a produrre alimenti in scatola senza che la microbiologia alimentare progredisse adeguatamente e senza soprattutto che costituisse occasione di applicazione alla tecnica di preparazione delle conserve in scatola.


Pochi anni dopo Tyndall, un irlandese che abitava a Chamonix, propose una alternativa all'uso di autoclavi, che trova fondamento sul fatto che la resistenza al calore delle forme vegetative è molto minore di quella delle spore per cui la geminazione delle spore e la sterilizzazione frazionata per un'ora al giorno per 2-3 giorni consecutivi delle forme vegetative via via formatesi
consente di ottenere una conserva stabilizzata con trattamenti termici molto più blandi a temperature di circa 70-80°C. La tecnica, detta appunto tyndallizzazione venne applicata ai piselli e al latte e venne da Tyndall spiegata con una ipotetica
minor resistenza di organismi debilitati da stress precedenti.


Sulla linea indicata da Pasteur si è poi innestato lo studio della microbiologia alimentare e della sua applicazione industriale (sterilizzazione termica): l'effetto del mezzo e in particolare del pH fu individuato da Bigelow e Catchart nel "mitico" Bull. 17-L della National Canner Association statunitense, Bitting studiò l'influenza delle caratteristiche fisiche del prodotto sulla penetrazione del calore, Thompson del formato e della natura del contenitore e Belser i meccanismi di penetrazione del calore in funzione della temperatura del mezzo riscaldante.
È questo il periodo nel quale la stabilizzazione degli alimenti ottenuta mediante trattamenti termici esce dallo stato di arte che l'aveva caratterizzata nel XIX secolo per cercare di diventare, seppur lentamente e faticosamente, tecnologia
e scienza: vengono scoperti i batteri alterativi termofili e molti ricercatori cominciano ad approfondire gli aspetti fisici, chimici, chimico-fisici e biologici della sterilizzazione mediante il calore stabilendo sempre con maggior accuratezza i trattamenti da applicare e riducendo conseguentemente i rischi connessi con il consumo di conserve.


Sono degli anni antecedenti o immediatamente seguenti al primo conflitto mondiale anche alcune importanti intuizioni che non sarebbero state applicate se non molti anni dopo: ad esempio l'impiego delle altissime pressioni per la sterilizzazione microbiologica degli alimenti che sembra costituire uno degli interessi maggiori per il prossimo millennio che si apre. Nel 1919 Dunkey pone le
basi per quello che sarà il vonfezionamento asettico.
Iniziano anche nello stesso periodo i primi tentativi di meccanizzazione e si assiste naturalmente ad una prima specializzazione dell'industria
produttrice d'impianti strettamente legata all'interesse specifico delle produzioni agricole da trasformare: la Francia si orienta soprattutto sugli ortaggi verdi e Ringelmann nel 1888 progetta per la ditta Fauré una sbaccellatrice per piselli a tamburo
, mentre
in Italia e in particolare a Parma le officine Luciani cominciano a creare quell'industria di impianti per la trasformazione del pomodoro da cui prende la sua ragion d'essere la Mostra delle Conserve Alimentari inaugurata a Parma nel 1939 e questo stesso CIBUS Tecnologie che ne è in parte l'erede.


È di questo periodo anche il passaggio della tecnologia alimentare dallo stato di stimolante investigazione a quello di vera scienza. Sorgono Istituti di ricerca universitaria e non finalizzati alla Food technology, (a Parma la Regia Stazione per l'Industria delle conserve alimentari), iniziano
le pubblicazioni importanti riviste specializzate, la letteratura specialistica non si limita a riportare ricette di produzione, ma cerca di affrontare i problemi dal punto di vista teorico e scientifico: si comincia a parlare di effetto di letalità, si mettono a punto le tecniche di esatta rilevazione delle curve di penetrazione del calore, gli impianti vengono progettati secondo principi ingenieristici e non soltanto empirici.


Fra le due guerre mondiali si assiste ad una diffusione eccezionale di stabilimenti di produzione di conserve sia negli USA sia in Europa, ma è proprio in quegli anni che si creano alcune premesse negative per una maggior diffusione delle stesse: gli eventi bellici determinano la necessità di produrre soprattutto per l'esercito e quindi più o meno inconsciamente e non sempre in modo giustificato il consumatore tende ad associare l'idea di conserva in scatola con alimento di emergenza che non sempre si caratterizza per connotati qualitativi adeguati.

Subito dopo la seconda guerra mondiale si cominciano a costruire impianti di grandi dimensioni (basta pensare agli sterilizzatori idrostatici Mitchell), evaporatori sotto vuoto in multiplo effetto per il pomodoro, cominciano ad apparire le prime pelatrici e i cooker-cooler a scatola rotante, trasportatori idraulici e pneumatici per piselli: anche la produzione di conserve sta diventando una vera industria e si assiste ad una riduzione di unità produttive ma ad un sensibile
incremento delle produzioni. L'importanza della mano d'opera è sempre molto alta ma la meccanizzazione ormai sopperisce soprattutto alle operazioni più onerose, rendendo il lavoro meno pesante e più rapido.


Dal 1940 in poi si cominciano ad applicare le citate intuizioni di Dunkey sul confezionamento asettico: è la rivoluzione copernicanadelle conserve, per cui la fase di stabilizzazione microbiologica è precedente
al confezionamento, rendendo così la produzione libera da vincoli legati al tipo di imballaggio (termoresistente e quindi necessariamente rigido), al suo formato (per cui l'intensità del trattamento e di conseguenza le aratteristiche organolettiche del prodotto sono diverse in base alla pezzatura della confezione) e alla disponibilità di acqua idonea per il raffreddamento. Il primo impianto industriale è quello proposto
dalla Martin/Dole, che usa ancora contenitori metallici presterilizzati, riempiti con prodotto prima sterilizzato e raffreddato preliminarmente con il sistema HTST, in ambiente mantenuto asettico ma comunque aperto. Si passa poi ai contenitori fissi (o trasportabili) di grandi dimensioni.
Dal 1960 in poi si assiste ad una divaricazione netta fra USA e Europa in seguito all'autorizzazione all'impiego dell'acqua ossigenata come mezzo sterilizzante, non concessa negli USA. In Europa ci si dirige prepotentemente verso l'impiego dei materiali flessibili accoppiati plastica/carta/alluminio) che consentono la formazione del contenitore al momento stesso del riempimento: viene
destinato alle piccole confezioni (il tetraedro poi trasformato in parallelepipedo della Tetra-pack), per poi passare circa vent'anni dopo anche ai contenitori flessibili da 200 e 1000 kg. Negli Usa, invece, si continua a privilegiare il contenitore metallico di piccola, media o grandissima capacità (silos di 500-600 mc) fino all'approvazione da parte della FDA dell'acqua ossigenata (1980).





 

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